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Recensione alla Mostra "Le Vie dei Canti"
Per introdurre le opere di Patrizia Tarasco potremmo ricorrere ai riverberi che l'arcaico produce sulla sensibilita' affinata dell'artista, sulla sua empatia quando si trova al cospetto di ambienti "selvaggi"in cui, rinverdendo il pathos suggerito da fughe "alla Gauguin", riesce a percepire l'essenza piu' profonda della creativita'. In realta', ricorrere a questo espediente sarebbe troppo facile. Infatti, in questa originale pittrice sono evidenti le tracce di una ricerca "altra" che convoglia le sue istanze nel tracciato della pittura tradizionale aborigena, senza pero' perdere mai di vista le matrici essenziali che sono alla base della sua ricerca poetica. Il risultato e' davanti agli occhi di tutti: un corpus di creazioni che ci riporta nell'universo di una cultura millenaria, in cui la pittura era sopratutto rito, evocazione del mito, azione principalmente sacrale.
Anche quando la tecnica si avvale di mezzi, strumenti e materiali tipici dell'arte contemporanea, la tradizione piu' antica della cultura aborigena fuoriesce con forza e dimostra la propria solidita'.
Davanti alle opere realizzate da Patrizia Tarasco, dopo aver fatto suo il linguaggio tradizionale australiano (la maggioranza), davanti ai nostri occhi si apre un universo che trova nel deserto il proprio territorio esistenziale: spazio di vita e di morte, ma anche luogo simbolico che determina risonanze ancestrali nelle anse piu' recondite del nostro immaginario. la pulsione creativa, senza soffermarsi sulle regole della costruzione pittorica occidentale, privilegia il movimento della disseminazione, che si focalizza nel rincorrersi di visioni e presagi, tra visto ed immaginato.
Patrizia Tarasco ha idealmente suddiviso il suo percorso in tre ambiti tematici: foresta, oceano, deserto. All'interno di ognuno troviamo una serie di soggetti che con quell'ambito hanno assonanze dirette o simboliche. Naturalmente e' possibile scorgere contaminazioni inevitabili, che sono naturali quando la realta' e' trattata attraverso il metro della poesia. C'e' in questa pittura la presenza di una sensibilita' che consente di sentire le voci della terra, i suoni della natura, i riflessi delle immagini oniriche trasferite dall'inconscio sul piano della percezione. Una sorta di osmosi "shamanica" con le energie piu' arcaiche, sedimentate nell'inconscio collettivo e che si dipanano nelle opere di oggi con la stessa vitalita' ancora presente nelle costruzioni degli aborigeni: nelle pitture rupestri, nelle decorazioni degli oggetti d'uso, nel linguaggio di terre colorate e pietre che danno forma a qualcosa che vuol essere anche preghiera.
La "Via dei Canti" che Patrizia Tarasco persegue e' appunto la (ri)scoperta di quella via che in parte ritroviamo nella corrente artistica autoctona nota come Dreamtime (il tempo dei sogni): movimento sorto in Australia all'inizio degli anni Settanta del Novecento e che prima di ogni volonta' eminentemente estetica, ha svolto un ruolo fondamentale nel sostenere l'autonomia della cultura tradizionale.
L'artista torinese, forte di un suo background culturale pittorico meditato in anni di lavoro su altri temi "etnici", fa propria l'essenza del Dremtime, ma ne cristallizza la dimensione piu' profonda, che di fatto e' il nucleo pulsante della ricerca, anche quando i soggetti si allontanano dal territorio specifico dei modelli aborigeni.
E cosi' l'artista si assume il non facile compito di rievocare attraverso la tradizione decorativa aborigena, non solo gli aspetti estetici, ma le fondamentali valenze antropologiche di una cultura che venendo a contatto con la societa' occidentale, ha visto disperdersi molte delle proprie prerogative ataviche.
La dimensione simbolica di questa arte coinvolge alcuni tra gli elementi piu' caratteristici della cultura "primitiva" il serpente, i cerchi concentrici, lo zig-zag, la spirale, il reticolo ed altri ancora. Elementi che hanno un ruolo di condurre il fruitore in una dimensione in cui i quattro elementi naturali risultano tutti inseriti in un dialogo costante, nel quale il tempo della realta' e quello del mito si uniscono in un solo armonioso tracciato narrante.
Al di la' dell'ampia riflessione culturale che suggeriscono, in particolare quando lasciano intravedere la possibilita' per stimolanti opportunita' di comparazione etnologica, le opere di Patrizia Tarasco meritano attenzione, poiche' sono depositarie di una tradizione culturale che affonda le proprie radici piu' antiche nelle remote istanze in cui la creazione artistica, il rito e il mito si amalgamano.
L'apparato decorativo si avvale infatti di elementi che possiamo rintracciare in molte espressioni della tradizione artistica, in particolare quella connessa alla dimensione rituale, una dimensione cha per gli aborigeni e' parte integrante del loro lavoro e del loro rapporto con la terra. Quella terra colma di voci degli antenati, che attraverso il segno e le sue evoluzioni all'interno del meccanismo simbolico, restituisce l'eco di un passato in cui storia e mito si confondono in una narrazione che instancabilmente ripropone l'atavico gesto di un artista -sciamano. Da sempre. Forse per sempre...
Massimo Centini - 2011